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I lockdown hanno colpito i lavoratori under 35, con basso livello di istruzione e basso reddito – Lusetti: “attenzione alla questione sociale”

Giovani, con basso livello di istruzione, stranieri, con bassi redditi da lavoro. Sono queste le categorie di lavoratori più esposti alle conseguenze del blocco (totale e/o parziale) delle attività produttive. Tutte tipologie che già si trovavano in una condizione di fragilità prima dell’emergenza sanitaria, e concentrate nei settori più pesantemente soggetti al lockdown: manifattura, costruzioni, commercio, alloggio e ristorazione, intrattenimento e cultura.

È quanto emerge dallo studio “I lavoratori e le famiglie esposte al lockdown”, elaborato nell’ambito del progetto MonitorFase3 nato dalla collaborazione tra Prometeia e Area Studi Legacoop per testare l’evoluzione dell’economia e dei mercati in conseguenza dell’epidemia Covid-19.

In riferimento alla classe di età, la categoria di lavoratori più a rischio è quella degli under 35 (il 73% del totale di classe), seguita dalla fascia 40-44 anni (65%). La percentuale più bassa si registra negli over 54 (49%). In riferimento al livello di istruzione, i più a rischio risultano i lavoratori con licenza media (il 70% del totale del relativo livello di istruzione), seguiti da quelli con diploma di scuola secondaria (62%), licenza elementare (55%), laurea (38%).

L’analisi è stata condotta utilizzando le informazioni fornite dall’indagine sui bilanci delle famiglie di Banca d’Italia relativa all’ultimo anno disponibile, per identificare, tra chi dichiara di lavorare in uno dei settori per cui è stato disposto il lockdown totale o parziale, i lavoratori a rischio, o “potenzialmente bloccati”, e quelli effettivamente “sottoposti a blocco”. Su questa base, poi, si sono suddivise le famiglie in due tipologie: famiglie senza alcun lavoratore sottoposto a blocco; famiglie con almeno un lavoratore sottoposto a blocco.

Alcuni indicatori sulla solidità economico-finanziaria segnalano la maggiore fragilità delle famiglie con almeno un lavoratore bloccato. Ad esempio, il 52% delle famiglie con un lavoratore bloccato è in affitto o ha un mutuo, contro il 43% delle famiglie con nessun lavoratore bloccato. Inoltre, le famiglie con almeno un lavoratore bloccato hanno reddito e ricchezza netta più bassi (rispettivamente, 35.806 Euro contro 36.026, e 198.555 contro 230.559 Euro) nonché attività finanziarie e liquidità più limitate (rispettivamente, 23.840 Euro contro 32.854; 11.505 contro 18.253 Euro).

Osserviamo con attenzione l’evoluzione di questa crisi economica ma pure sociale” – afferma M. Lusetti, Presidente di Legacoop – “dobbiamo tutti contribuire a fornire soluzioni adeguate a far ripartire prontamente il Paese. Attenzione, però: avvicinandosi l’autunno, dobbiamo essere consapevoli della effettiva profondità della questione sociale che rischia di aprirsi: lo shock dei mesi passati non ha colpito nello stesso modo imprese e settori, ma pure ceti e singole persone. Come era facile prevedere, anzi, l’impatto più pesante è arrivato sui ceti più fragili, esposti, precari, e ha creato disequilibri preoccupanti. Ora ne abbiamo la conferma e offriamo una fotografia piuttosto precisa per indirizzare misure che leniscano le lacerazioni. Altrimenti la locomotiva che tutti stiamo spingendo non ripartirà, o lo farà più lentamente.”

Lo studio di Prometeia e Area Studi Legacoop evidenzia, infatti, come il lockdown non ha solo comportato una perdita di reddito per le famiglie esposte al blocco, ma ha impedito e/o scoraggiato il consumo di beni e servizi nel comparto della ristorazione, del turismo e delle attività ricreative.

La riduzione dei consumi di beni “voluttuari” aggiunge quindi un ulteriore elemento di vulnerabilità per i lavoratori più deboli: alla perdita di reddito causata dal blocco delle attività si somma quella dovuta al loro prolungato rallentamento a causa di una domanda che stenta a ripartire. Beni e servizi “voluttuari” incidono di più sulla spesa delle famiglie più “ricche”, che hanno ridotto tali consumi a causa delle misure di contenimento imposte dal governo, non tanto per un’effettiva riduzione del loro reddito.

Per le famiglie più povere è più alta la quota di spesa per beni e servizi essenziali, più difficile da contenere nonostante la perdita di reddito da esse subita ed esacerbata della lenta ripresa dei consumi nei comparti in cui sono occupati i lavoratori più fragili.

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