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Coop. Polis: L’impegno quotidiano contro il Coronavirus Racconti e storie dalle residenze sanitarie e dai servizi alla persona.

L’impegno quotidiano contro il Coronavirus

Racconti e storie dalle residenze sanitarie e dai servizi alla persona.

 

Immaginate una residenza sanitaria assistenziale che ospita tanti anziani, con diverse patologie e con assistenza differenziata. Persone che hanno pochi contatti con l’esterno in tempi normali e che, a causa del Covid19, adesso da quasi due mesi non vedono i figli e i nipoti. Il loro unico punto di riferimento è costituito dal personale della struttura: medici, infermieri, operatori socio sanitari, educatori. Sono loro che ogni giorno cercano di affrontare, con serenità, il lavoro, senza farlo pesare sui pazienti.

Gino Terrezza è il responsabile sanitario e geriatra della residenza protetta “Veralli Cortesi” di Todi, chiamato a gestire una situazione complessa per la struttura in un momento storico straordinariamente difficile.

“La struttura è sempre stata perfettamente attiva, abbiamo solo abbassato da 75 a 73 il numero di ospiti perché abbiamo anticipato i tempi e le disposizioni della Regione, quando ci è stato chiesto di predisporre la cosiddetta stanza grigia, cioè quella per l’isolamento di eventuali ospiti positivi. Noi abbiamo adibito una stanza, doppia e non singola, perché era quella più vicina all’uscita ed era accessibile attraverso un percorso che non permette incontri con ospiti e operatori”.

L’isolamento è la rigida regola che tutti hanno rispettato, nella struttura come a casa propria. “Tutti i nostri operatori sono stati muniti di dispositivi di protezione individuale, è stato monitorato il corretto utilizzo degli stessi, è stato limitato l’ingresso degli operatori a due per turno e sempre gli stessi, in maniera tale che non ci fossero ulteriori possibilità di contagio”. Interdetto l’accesso anche ai parenti. Non entra nessuno, tranne gli operatori, e anche loro solo dopo il rito della misurazione della temperatura e sottoscrizione della scheda triage, cioè che non hanno tosse, congiuntivite, che non hanno fatto viaggi o sono stati in posti a rischio”.

In una residenza con tanti ospiti anziani è fondamentale anche tenere d’occhio l’aspetto psicologico: “Dal punto di vista umano abbiamo dovuto fronteggiare la sensazione di abbandono vissuta dagli ospiti, un vuoto dovuto alla mancanza dei familiari. Per questo abbiamo subito attivato un servizio telefonico e poi di video chiamata, che a tutt’oggi è l’unico modo di contatto esterno per i nostri ospiti”.

Stefania Venarucci, coordinatrice infermieristica presso la residenza protetta “Casa Serena” di Magione, può vantare un bel primato, insieme a tutto lo staff della struttura: nessun positivo tra i 37 ospiti e i 35 operatori di Casa Serena. Un risultato raggiunto affrontando molte difficoltà con tenacia e attenzione.

“La struttura è stata chiusa a tutti gli esterni dal 5 marzo. Possono entrare solo gli operatori e i fornitori di ossigeno, tutti gli altri aspettano fuori, lasciano i materiali e poi ci pensiamo noi. Anche i parenti degli ospiti non entrano nella residenza, ma per loro abbiamo subito provveduto ad attivare un sistema di telefonate e di video chiamate, nonché di comunicazione continua sullo stato di salute dei nostri ospiti. Adesso dopo i tamponi, tutti negativi, siamo e sono più tranquilli. E questo ci rende orgogliosi, perché vuol dire che abbiamo lavorato bene. E la bolla protetta che abbiamo creato funziona”.

Letizia Framassi, operatrice socio sanitaria presso la residenza protetta “Brizi Bittoni” di Città della Pieve, insieme a tutto il gruppo che lavora nella struttura, ha cercato di rendere il più possibile normale per gli anziani ospiti un momento di reclusione forzata, senza poter ricevere le visite dei propri cari, e senza risparmiarsi.

“L’ambiente è sereno e tranquillo perché la dirigenza da subito, in maniera lungimirante, ha messo in atto tutte le procedure per una buona prevenzione: i fornitori non hanno più avuto accesso alla struttura, è stata attivata una procedura per gli operatori con un percorso sanificato che inizia dall’ingresso fino ai piani e pulizia della struttura 4 volte al giorno. Poi c’è il lavoro legato al benessere psicologico degli ospiti, compreso il continuo aggiornamento delle loro condizioni ai parenti: sono aumentate le iniziative interne e il video collegamento con il cellulare con le famiglie. È anche divertente vedere lo stupore di alcuni ospiti che non capiscono come sia possibile vedere il figlio o il nipote nello schermo, quasi non riescono a parlare, poi si sciolgono e sono contenti”.

Francesco Bianchini è un operatore domiciliare e svolge servizi di assistenza, cura e igiene nelle case delle persone. Servizi essenziali che con l’epidemia Covid19 continuano ad essere svolti, pur nelle oggettive difficoltà quotidiane.

“Vado a casa delle persone che hanno bisogno di essere lavate, cambiate, accompagnate in bagno, persone che non si possono muovere”. È un lavoro che non si può fare a distanza, diventato più faticoso, ma gli assistiti e le loro famiglie “hanno compreso le nostre difficoltà e mi dicono da stare attento, non tanto per loro e i loro cari, si preoccupano per la nostra salute. Questo è bello perché si fidano di noi e ci considerano come di famiglia”.

 

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Questo invece è il racconto, corale, di Rita Coni (educatrice), Valentina Ledda (infermiera), Brunella Porcu (coordinatrice infermieristica), Alessandro Rundini (referente operatori socio sanitari), Erica de Blasi e Monica Porcu (educatrici) dalle strutture gestite da Gersia, in Sardegna.

“Con il Coronavirus è cambiato l’approccio, non c’è paura, ma tensione sì, perché non possiamo permetterci alcuna disattenzione in quanto siamo gli unici che entrano ed escono dalla struttura, i cui i pazienti sono come blindati, per la loro salute. Il protocollo è, quindi, strettissimo sia quando prendiamo servizio sia a casa, dobbiamo limitare i contatti anche con i nostri familiari per preservare tutto e tutti. Con mia madre anziana a casa mangiamo a turno”.

Il lavoro è sempre lo stesso, si potrebbe dire, ma c’è uno stimolo in più per tutti gli operatori: evitare che la tranquillità degli ospiti non venga intaccata dalle norme di sicurezza. “Dobbiamo essere sereni noi per far sì che anche gli ospiti lo siano. Ogni nostra mossa è seguita e se c’è qualcosa che non va viene subito percepita. Dobbiamo ricordarci che la loro routine è stata spezzata dal divieto di accesso dei parenti nella struttura, che non vedono i loro familiari da quasi due mesi. Le visite sono un momento particolare, necessario per il loro benessere. Per fortuna c’è una equipe che lavora bene, integrando le necessità: ci sono le educatrici che mantengono i rapporti con i familiari attraverso la tecnologia delle video chiamate, mentre il personale medico è attentissimo a monitorare la salute degli ospiti e riferire ai parenti. Limitare l’ansia, far scorrere il tempo serenamente, attenti ai bisogni degli ospiti. Questo è il nostro unico pensiero”.

L’ospite rimane, quindi, al centro del lavoro del personale sanitario, degli educatori e degli psicologi, impegnati ad intervenire sulla comprensione della situazione da parte dei pazienti e sul passare del tempo a fronte dei cambiamenti introdotti.

“la tecnologia ci sta aiutando molto ad allietare le giornate dei nostri ospiti, a mantenere attiva la rete familiare. Le giornate sono lunghe, però, e allora cerchiamo di trascorrerle nel miglior modo possibile, mantenendo un clima festoso e stimolante. Quando possiamo organizziamo attività all’aperto, tipo il giardinaggio o attività ludiche. Tutto viene fotografato e videoripreso, così anche i parenti sono partecipi. Molti ci ringraziano per queste attività che possono vedere. La richiesta che molti degli ospiti hanno fatto e che è stato subito esaudita, riguarda la messa, che adesso seguono in tv, recitando il rosario una volta a settimana. Un momento importante, perché li tiene legati alla realtà”.

 

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