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Legacoop > 39°CONGRESSO – Rapporto tra associazione e imprese, in cerca di nuove forme di legittimazione

Roma, 25 luglio 2014 – Il rapporto tra le imprese e l’associazione. È questo il tema attorno a cui ruota il confronto all’interno del terzo gruppo di lavoro a cui Legacoop ha dato vita per animare il cammino verso il 39° Congresso. Un argomento fondamentale, reso ancor più rilevante dalla crisi della rappresentanza che tutti i cosiddetti corpi intermedi della società stanno vivendo da qualche anno.

 
Il gruppo – che dopo il primo incontro si ritroverà così come i gruppi 1 (identità e valori) e 4 (organizzazione) nel pomeriggio del 29 luglio – ha potuto contare, come innesco del confronto, sui risultati di un’indagine di SWG che ha posto in evidenza gli aspetti positivi e critici delle Associazioni di rappresentanza percepiti come tali dai cittadini e dagli stessi cooperatori, identificando le aspettative dei cittadini e soprattutto dei cooperatori nei confronti di Legacoop e del movimento cooperativo associato.

 
Dall’indagine emerge che l’indice di fiducia degli italiani pone le cooperative e Legacoop a metà classifica, rispettivamente con il 34% e il 26%, tra il 55% di artigiani e agricoltori e l’8% dei partiti. Pensare al benessere di tutti e non solo al profitto individuale, lavorare in un luogo con un clima interno positivo, entrare in una rete d’imprese sono tra i tre motivi che più fortemente inducono ad aprire una cooperativa, anche se il 49% ritiene difficile o molto difficile trovare le informazioni per farlo.

 
L’iscrizione a Legacoop è stata scelta per l’area politica di riferimento (39%), la credibilità dell’associazione (32%), la forte presenza territoriale (27%) e la capacità di rappresentanza (25%). Che cosa chiedono le aderenti a Legacoop (vedi per i risultati completi la tabella, ndr). Informazioni e aggiornamento costante (72%), creazione di relazioni con le strutture di sistema (70%), rappresentanza presso le istituzioni (69%). In una fase così convulsa del Paese ci si attenderebbe un chiaro segno nella sola direzione della mera tutela. In realtà il mondo cooperativo auspica una mission molto più articolata, con al centro una strategia complessiva di sistema, capace di focalizzare l’attenzione sulla spinta dinamica, sull’innovazione, sul supporto e cura e sulla forza prospettica e proiettiva sia in termini di tendenze, sia in termini di opportunità.

 
Su questa base si è sviluppato un primo confronto che ha permesso al gruppo coordinato da Sergio Imolesi di individuare quattro aree tematiche fondamentali, attorno alle quali è forse utile proseguire una riflessione, che potrà ovviamente ampliarsi anche in altre direzioni in basi alle sollecitazioni che arriveranno.

 
Punto primo: il rapporto tra associazione e imprese. A fronte della crisi della rappresentanza, esistono due strade per recuperare autorevolezza: resistere, rivendicando come il Governo non possa disconoscere la funzione dei corpi intermedi oppure cambiare, non cercare più di dimostrare che il mio interesse particolare si inserisce armonicamente in quello generale, ma proporre noi per primi una visione dell’interesse generale che comprende il nostro interesse particolare. La scelta, insomma, è se radicare la nostra legittimazione a un tavolo o alla realtà, chiedendo alla politica di accogliere l’influenza della società che noi rappresentiamo.

 
Compiendo un passo avanti dal tema della legalità a quello dell’onestà, molto più esigente, il concetto su cui ruotare può essere quello della fiducia tradita: ci sono, infatti, numerosi comportamenti che pur non essendo illegali violano il patto di fiducia che esiste tra soci e amministratori. In questo modo – a volte – non è necessario attendere il terzo grado di giudizio: potrebbe anche non essere corruzione aver elargito soldi a qualcuno, ma se viola il patto di fiducia è per la cooperativa sufficiente per assumere provvedimenti conseguenti.

 
Terzo punto: il ricambio generazionale. Si può pensare a inibire le cariche associative oltre una certa età. Ma le regole non sono sufficienti a determinare un cambiamento reale, serve un salto culturale. Le quote, ad esempio, sono un palliativo. Occorre costruire una cultura di riferimento che porti a giudicare i gruppi dirigenti anche in base alla capacità di costruire una successione: non si rimane al proprio posto perché non ci sono persone in grado di svolgere lo stesso ruolo,ma se non ci sono persone in grado di svolgere lo stesso ruolo si viene sostituiti perché non si è svolto bene il proprio compito.

 
Infine la promozione della cultura cooperativa. Il tema è ancor più interessante perché può essere sviluppato anche in ottica Alleanza delle Cooperative. È possibile ad esempio pensare a un coordinamento dei centri culturali, con la costituzione di un comitato scientifico, potendo contare anche su risorse provenienti dai Fondi mutualistici, per sviluppare insieme iniziative, analizzando in modo preventivo i risultati di quanto fatto finora.

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